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80 vittorio alfieri


CXII (1783).

Tante, sì spesse, sì lunghe, sì orribili
Percosse or dammi iniquamente Amore,
Che i mie’ martíri omai fatti insoffribili
Mi van traendo appien del senno fuore.

Or (cieca scorta) odo il mio sol furore;
E d’un pestifero angue ascolto i sibili,
Che mi addenta, e mi attosca e squarcia il cuore
In modi mille, oltre ogni dir terribili:

Or, tra ferri e veleni, e avelli ed ombre,
La negra fantasía piena di sangue
Le vie tutte di morte hammi disgombre:

Or piango, e strido; indi, qual corpo esangue,
Giaccio immobile; un velo atro m’ha ingombre
Le luci; e sto, qual chi morendo langue.

CXIII.

Tacito orror di solitaria selva
Di sì dolce tristezza il cor mi bea,
Che in essa al par di me non si ricrea
Tra’ figli suoi nessuna orrida belva.

E quanto addentro più il mio piè s’inselva,
Tanto più calma e gioja in me si crea;
Onde membrando com’io là godea,
Spesso mia mente poscia si rinselva.

Non ch’io gli uomini abborra, e che in me stesso
Mende non vegga, e più che in altri assai;
Nè ch’io mi creda al buon sentier più appresso:

Ma, non mi piacque il vil mio secol mai:
E dal pesante regal giogo oppresso,
Sol nei deserti tacciono i miei guai.