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68 vittorio alfieri


LXXXVIII (1783).

Chi vuol laudare la mia donna, tace;
Tanta lo prende nuova maraviglia,
Che impresa ei troppo stimerebbe audace,
Parlar di cosa, cui nulla somiglia.

L’invidia pur, che in suo livor si sface,
Spesso a biasmarla arditamente piglia;
Ma poi vedendo che biasmata piace,
Anch’essa di tacer si riconsiglia.

Per tutto ov’ella in sua beltade passa,
Un non so qual dolce tremor nel core,
E un profondo silenzio addietro lassa.

Ciascun vuol farle, e non sa come, onore:
Con sua modestia ella ogni orgoglio abbassa;
E tutti abbaglia l’alto suo splendore.

LXXXIX.

Io d’altro tema in ver vorría far versi,
Che non di pianto e d’amorosi lai:
Ciò tanto più, che in aureo stil dolersi
Tolto ha il cantor di Laura a tutti omai.

Ma s’io strascíno i giorni miei perversi
Nel pianto sempre, e in amorosi guai,
Certa di me pur vuol pietade aversi,
Poichè in tutt’altro metro un dì cantai.

Passò stagion, che a lagrimare invito
Io fea su i casi d’infelici eroi,
Libero volo alzar tentando ardito.

Sepolto ho il cor ne’ gravi affanni suoi;
Forza ria dal mio bene hammi partito....
Oimè! chi sa, se il rïavrò mai poi?