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rime varie 63


LXXVIII.

Un muover d’occhi tenero e protervo,
Un ragionar soavemente al core,
E in nobil atto d’ogni grazia il fiore,
Fatto or m’han quasi ad altra donna servo?

Eppure illeso entro il mio sen conservo
Non per assenza scemo il prisco amore:
Ma questa io sfuggo, e m’è il fuggir dolore,
Qual di saetta ad impiagato cervo.

Cor mio, che fu? ragion ne voglio intera.
Donna havvi al mondo oltre la donna mia?
O son io amante di volgare schiera?

Nol son; nè stimo in terra altra ven sia.
Debolezza ciò dunque in me non era;
Ma forza era in costei di leggiadria.

LXXIX (1783).

Fido, destriero mansüeto e ardente,
Che dell’alato piè giovato hai spesso
Al tuo signor, sì ch’ei seguia dappresso
Il cervo rapidissimo fuggente;

Tu riedi a me, da non gran tempo assente;
Ma pur, più non ritrovi in me lo stesso;
Ch’io son da mille e mille cure oppresso,
Egro di core, d’animo, e di mente.

M’è il rivederti doglia, e in un, diletto:
Di là tu vieni, ov’è il mio sol pensiero....
Sovvienti ancor, quand’ella il collo, e il petto

T’iva palpando; indi con dolce impero
Tuo fren reggeva? e tu, pien d’intelletto,
Del caro peso te ne andavi altero.