Che a virtute lasciarli ed a bell’opre?
Suo dispotico brando, ancor grondante
Di quel sangue anelante
Vendetta, or fia per noi francar si adopre?
Certo, s’egli è, ricopre
Voglie or forse non schiette
Di generoso indi non regio ammanto.
Deh! non fia che da lui troppo si aspette,
Sì che ritorni il riso stolto in pianto.
Ecco sparir già della notte il velo;
E dal Nettunio regno
Sorger col sol le desïate sarte.
Già già chiaro si scorge il primo legno
Coll’ondeggiante al cielo
Bianco lin cui bel giglio aurato parte;
Lo spiega all’aure Marte.
Già scendon; già di vettovaglie e d’armi
Han ristorato ogni uom; già in traccia vanno
Del superbo Britanno. —
Ma tra questi, qual veggio eroe che parmi
Degno d’eterni carmi,
Degno di nascer quivi
Dove libero petto e invitta spada
Porta e di sangue ostil fa scorrer rivi? —
Muse, ergiamgli trofeo che mai non cada.
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Parla del signore de La Fayette.
O degna inver non di mia muta cetra,
Ma di quella canora
Che risuonar fea le Tebane spiagge
Di laudi, onde ne avvien ch’uom mai non mora
Ai regnator dell’etra
Fatto simíle: o tu, degna in più sagge
Etadi e in men selvagge
Parti fiorir, gentil straniera pianta:
Di qual piaggia del ciel scendea rugiada,
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