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appendice 245


V.

(In fondo alle Cascine – 25 maggio 1796).

Odo un suon: ma ben l’odo o vanegg’io?
Orecchio ascolta, ogni tua fibra tendi.
«Crescemi in cor dei versi il bel desio,
«Che tu qual nuovo Apollo in me l’accendi».

O voce ch’or tai note all’aure aprio,
Deh, con qual possa all’anima mi scendi!
«Ma ch’io segua il tuo volo invan pretendi,
«Che manca ingegno e lena al voler mio».

Scevra tu d’ali onde seguir mio volo?
Donna, che dici? E non son tue quest’ali
Su cui (s’io m’alzo) Amor m’innalza ei solo?

I carmi miei son tuoi; tu innanzi sali.
Me spicca Amor dal serpeggiante stuolo:
Ei di suo mette l’arco, e tu gli strali.

VI.

(Sotto Fiesole – 5 settembre 1797).

Dunque in narrarti il mio stato infelice
Io t’offendea, me misero! Dunqu’era
Meglio il serbar nell’egro petto intera
La doglia che sospir tanti ne elice!

Dovea tacer; poichè tacendo il dice
Sempre sul viso mio sculta la nera
Malinconia, per cui forz’è ch’io pera,
Com’uom cui nulla speme accoglier lice.

Ma, sia ver ch’io il dovessi, io nol potea;
Che spesse volte l’anima trabocca
Dal troppo incarco dell’angoscia rea.

Ciò ch’ebbi in cor, me lo turò la bocca.
Quindi, se il troppo amarti errar mi fea,
A te la colpa e il perdonarmel tocca.