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III.

(In Boboli – 13 febbraio 1795).

Rapida fugge qual saetta a volo
Del gonfio Arno la torba onda spumante,
E il notturno fragore alto mugghiante
Minaccia in Flora e l’uno e l’altro molo.

Io che d’egregio ponte (al mondo solo
Sempre assetato e ognor digiuno amante)
Giaccio alla destra coscia e sto vegliante,
Con finti sogni il non dormir consolo.

E mi par, dolce mia diletta speme,
Che tu pian pian mi sii venuta al fianco.
Stendo la man com’uom che trema e teme.

Te non ritrovo, eppur te stringo, ed anco
Deluso insisto; insano e accorto insieme,
Poichè da te in persona avrei pur manco.

IV.

(Alle Cascine in fondo – 18 maggio 1796).

Parve infida, o se il vuoi la man pur l’era
E il labbro quasi il dì che, entrambo audaci,
Furar tentando ad altra donna i baci
Troppo allargavan la letizia mera;

Ma l’intelletto, il cor, l’anima intera,
I sensi stessi, del piacer rapaci,
No, non peccaro, il giuro: e se mendaci
Fosser miei detti, ogni mio carme pera.

E quand’anco tu fede a me negassi,
Vita mia, te prezzando, in te sol credi,
Ch’io d’altra i baci dopo i tuoi bramassi?

Chi dopo il mel l’assenzio appetir vedi?
Tuo dardo è il sol che oltre mia gonna passi,
E mi dai vita più quanto più fiedi.