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238 | vittorio alfieri |
Di un tal parlar la ragionata rabbia
Ben mostra al sir, quanto tenace il chiodo
Lorenzo in core or conficcato s’abbia;
E vede alfin che sta per sciorsi il nodo.
Quindi con bianca e tramortita labbia:
Ch’io morir debba, e in così infame modo?
Grida un avanzo del regal suo spirto.
Gli si fa intanto il crin per orror irto.
Ma con impeto fero ecco risposta
Gli dà Lorenzo che d’indugio è stanco;
Infame il modo? e sceglierlo a tua posta
Nobil non puoi, fin che hai la spada al fianco?
Da me, se l’osi, un passo o due ti scosta;
Tuo brando snuda: ei non potría già manco
Del pugnal breve che mia destra afferra:
E ben fia tutta in tuo favor tal guerra.
Mira: non fammi ascoso usbergo audace:
Di ferro no, di virtù cinto ho il petto.
Ma che? non muovi? e già il tuo sdegno tace?
Il vedi or quanto abbia tremendo aspetto
Morte che altrui spesso inviar ti piace:
Tu il vedi or quanto a darla fora inetto
Tuo regal braccio, ove ferir tu stesso
Dovessi invece del crudel tuo messo.
Alta divina libertade io porto
In cor: tu, vil, di tirannia l’hai pieno:
Sorgi, su, sorgi; e fia il combatter corto.
Ma omai convinto che d’ogni uom sei meno
Ti veggo: e teco è il tuo furor già morto;
Non l’è il mio, no; che mi s’addoppia in seno
Nel veder ch’abbia alma codarda tanto
Bevuto a sorsi il nostro sangue, il pianto.
Inevitabil, necessario, e molto
Vicino è il morir tuo: ma pur lordarmi
Nel tuo fetido sangue e mani e volto
Del mio valor poco degn’opra parmi.
Meglio fia, se tu stesso, in te rivolto
L’acciar, sì brutta cura a me risparmi:
E a te parrà morte assai men sinistra
Quella onde fai tua regia man ministra. —