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l’etruria vendicata. — canto iv 235


Per incespare in lui già quasi stava
Lorenzo, allor che steso appiè sel vide:
E così forte pel timore ansava,
Che di Lorenzo la ferocia ride.
Egli stesso da terra lo levava,
E in uno scanno in faccia a sè lo asside.
Lo guata il duca, e di pugnale armato
Sopra sel vede orribilmente irato.

Quindi in codardo e supplichevol suono
Grida: O Lorenzo, al tuo signor cui presso
Stavi onorato qual leale e buono?...
— Perfido, sì; quel tuo Lorenzo istesso,
Che a’ tuoi voleri ubbidïente e prono,
Quale servo a tiranno, avesti spesso;
Quello, sì, quello, or Libertade e Onore
Arman di ferro ad isbranarti il core.

Che fai tu qui? donde v’entrasti? il vile,
Il traditor qual è di noi? favella,
Pria che ti pianti in sen questo mio stile.
Stuprar tu di Lorenzo la sorella?
A me tu giogo imporre aspro servile
D’inaudita tirannide novella?
Ciò tentasti: e speravi omai protrarre
Tuoi dì? Del folle error ti vengo a trarre.

Anch’io fra il lezzo di tua iniqua corte
Vivea, nol niego, tacito fremente:
Perfin lusinghe menzognere e accorte
Teco usai, per celarti appien mia mente:
Ma sempre in cor scolpita la tua morte
Portai, com uom di nobil brama ardente
Di liberar da un mostro qual tu sei,
Più che me stesso, i cittadini miei.

Nè tu, benchè al tuo fianco ognor volessi
Tenermi, incontro a me nel cor protervo
Odio avevi minor di quel ch’io avessi;
Ma farmi intanto alle tue voglie servo
Godevi, infin ch’a uccider me credessi
Bastarti appien di tua possanza il nervo:
Vittima in corte mi serbavi e ostaggio
Del futuro tirannico coraggio.