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228 | vittorio alfieri |
Altamente nel core a lui s’è fitto
Il consiglio del provido Plenario;
Sì che il destino di Lorenzo ha scritto
Entro al fero suo libro sanguinario.
Pria non l’amava: or che lo udía proscritto
Per bocca di quel gran penitenziario,
Giurò sua morte; e di svenarlo ei spasma,
Per levarsi dagli occhi il rio fantasma.
Dopo un breve tacer, quindi ei soggiunge:
Infra un’ora a venir meco t’appresta.
Poi, com’uom cui speranza e desir punge,
L’aulica turba al suo pensier molesta
Tosto dal fianco suo tutta disgiunge,
Accomiatando colla regia testa.
Si prosternano i grandi; e uscendo, in cuore
Invidian tutti il messagger d’amore.
Solo Arrigo riman, cui brevemente
Narra il sir che ad impresa ardita e nuova
Egli uscirà soletto quetamente,
A veder se in amor vince la prova.
A prence, ai cui desir tutto consente,
È un saporetto che il piacer rinnova
Trovar ripulse: onde Alessandro or bolle
Dell’orgogliosa Bianca a sè far molle.
Prudente Arrigo vuol che d’otto o diece
De’ suoi sergenti accompagnato ei vada,
Da lunge almen, se da vicin non lece:
Ma il prence, o sia che in cor dubbio gli cada
Che a piegar Bianca non gli vaglia prece
Ond’abbia escluso a rimanersi in strada,
O sia destino, o ardir di Bacco sia;
Testimoni ei non vuol nè compagnia.
Mentre egli aspetta che più innanzi vegna
La notte amica a sue magnanim’opre,
Di privato zerbin l’arti non sdegna:
Leggiadretto vestir sue membra copre;
La chioma ei fa di odor soavi pregna;
La bianca mano e il bianco collo ei scopre
E, pien d’amore, al dì novello impone
Che si strozzi Lorenzo in ria prigione.