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226 vittorio alfieri


Ma, per più liete far le frutte poscia,
Destramente incomincia Arrigo a dire:
Signor, noi tutti poni in fera angoscia
Nel lasciarti agitar così dall’ire:
Vedi come dirotto il pianto stroscia,
E quanto il tuo martir ne dà martìre:
Piacciati, deh, rasserenar l’augusta
Fronte di troppo alti pensieri onusta.

Servirti a gara ognun di noi desía:
O giuochi o cacce vogli, o canti o amori;
Sol che tu dica: Io voglio: e fatto fia.
Ben è dover che alquanto si ristori
Con lieti aspetti omai tua fantasia.
Qual che dei nostri ministeri onori,
Piacer conforme al tuo desir scegliendo,
Ciascun presto già il tiene antivedendo.

Sorride il duca a cotai detti; e tosto
Ode i destri ministri ad uno ad uno
Narrar qual tresca gli abbiano disposto.
Lungo sarebbe a dir come ciascuno
Gli ha pel miglior l’ufficio suo proposto.
Vuol Cheroísso, all’aere ancor bruno,
Metter già il sir contro un cignale in sella;
E glien promette alta vittoria e bella.

Anabatisso a cavalcar lo invita
Un superbo corsier d’Africa tratto,
Domo pur or da lui, per l’inaudita
Sua rapidezza ad ogni caccia adatto.
Del prence a un tempo per la sacra vita
Giura che manso egli è non men che ratto:
Ciò giura ei, certo di sua man maestra
Con che il destriero a regia soma addestra.

Ma con vermiglia faccia e fronte lieta
Ride Maghizzo dei piacer penosi,
Da cui vuolsi che il sir sollievo mieta:
Quasi fosse del par nei faticosi
Giuochi ed in quei d’amore il prence atleta.
Quindi ei sapendo i suoi diletti ascosi,
Fa segno a Lenoncin che innanzi passi;
E in disparte coi più frattanto ei fassi.