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l’etruria vendicata. — canto iv 225


CANTO QUARTO.


Così pentito confessato e assolto
Riede Alessandro alle regali stanze
Più queto e alquanto men pallido in volto.
Arrigo è quivi; e fervorose istanze
Gli fa, perch’ei raffibbi il giaco sciolto:
Ma il sir non vuole all’amorose danze
Tale impaccio serbar; quind’ei lo gitta,
Come in quel punto il suo mal genio ditta.

Poi tra il consiglio e la paura e il pio
Farneticar col frate avendo spesi
Del dì più che due terzi, in dolce oblío
Cenando ei spera che il timor men pesi;
Chè ognor fra i vini e il dissoluto brio
Son di mezzo valor gli spirti accesi;
Quindi ei, l’avanzo del fuggente giorno,
Diffonde a mensa d’aurea copia il corno.

A ogni tazza ch’egli avido tracanna,
Sente novello in sè nascer coraggio:
E com’uom che se stesso ama ed inganna,
Dei forti usurpa il vantator linguaggio.
Ma sua ragion però non gli s’appanna
Così ch’ei di timor non vegga un raggio.
L’uom vil che asconde in sè natura fera
Non apre a Bacco mai l’anima intera.

Pur dice ai grandi, che dintorno stanno
Atterriti laudandolo umilmente,
Ch’ei nulla teme e che i nemici il sanno,
E ch’altro egli non vuol più ardentemente
Che ciò mostrar con lor vergogna e danno.
Que’ suoi fedeli piangon caldamente
Maravigliati del valor sovrano:
E ognun tremante gli bacia la mano.

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