Pagina:Alfieri - Rime varie (1903).djvu/228

222 vittorio alfieri


A far svenar quest’ultimo nemico
Ti costringea ben sai, ragion di Stato:
E nel nome di Dio ti dissi, e dico
Che in ciel ten fu il perdono decretato
Quel giorno stesso, che allo stuol mendíco
De’ figli del Carmel ricovro hai dato.
Ma forse or altri ad interpor si viene,
Che l’eterne bilance in dubbio tiene.

Nella corte del cielo avvien talvolta
Che dei santi baroni alcun si muova
Per li mondani preghi a far che tolta
Tal grazia sia da tal che a lui non giova.
Vuol esser fè con largitade molta,
A voler con costor vincer la prova.
Io ben so di lassù le arcane cose,
E ai pari tuoi non dènno esser nascose.

Padre (il prence risponde) io non so come,
Ma certo irato è in me non poco il cielo;
Questo fantasma, che arricciar le chiome
Mi fea pur dianzi e andar per l’ossa un gelo,
La scorsa notte, chiamandomi a nome,
Sul cor la punta di sanguigno telo
Posemi; e disse... io le parole morte
Ridir non so, ma nunzie eran di morte.

Quindi atterrito, i miei gran saggi e fidi
A consiglio adunai: ma dato appena
Ebbi principio al dir, ch’io là rividi
L’ombra terribil di minacce piena.
Or non so che mi faccia o in chi m’affidi:
Ghiaccio mi stagna il sangue entro ogni vena:
E l’infernal voragine già parmi
Tutta avvampante aprirsi ed ingoiarmi.

Eppur sa il ciel se ai tuoi precetti ognora
Servo fedele io fossi e obbedïente.
Nell’irne a letto, io spendo un quarto d’ora
Segni di croce a far devotamente:
Lo scapolar che mi donasti, ancora,
Vedi, mel porto a carne ascosamente:
E la mia santa quotidiana messa
Mai per cagion nessuna non l’ho smessa.