Pagina:Alfieri - Rime varie (1903).djvu/225


l’etruria vendicata. — canto iii 219


E per me il dica Plenario che segue,
Fervido scaltro confessor del duca.
Al pentirsi e al ben fare ei gli dà tregue,
Purchè a narrargli i falli suoi lo induca;
Ed alla chiesa intanto oro consegue,
Che chiusa tenga la tartarea buca,
Quel prence al certo avrà l’alma ben ria,
Di cui più fello il confessor non sia.

Ma qual vien mostro sanguinoso, ch’empie
Tutto di pianto, e sì vantarsen osa?
Frate Strozzicchia egli è, che le mani empie
Bagna nel sangue di chi ha fè dubbiosa:
Le segrete del sir vendette adempie;
E tirannide in lui secura posa:
Ch’a ogni uom che parli o pensi, ei reca ambascia,
Tradir, furar, stuprar, uccider lascia.

Chiude alfin la rassegna il non tradotto
Vescovo, che in volgare i libri santi
Traduce e affoga al gran commento sotto.
Svela questi e perseguita gli amanti;
E mille ben coppie infernali ha rotto;
Niuno al sagace suo fiutar si vanti
Sfuggir: sol lascia delle mogli altrui
Partecipare il prence e i preti sui.

Seduto appena è il gran consiglio a scranna,
Che Alessandro (dal cor profondo pria
Tratto un sospiro flebile, che affanna
Il cor d’ogni uom ch’ivi nel sir s’indía)
Con voce che il timor alquanto appanna,
Il gran tèma incomincia; e dice: Or fia...
Ma fatto egli è più pallido che giglio,
E sviene, ed ha ’l battito del coniglio.

Pensi ciascun nel nobil concistoro,
Al caso inopinato, qual tempesta
Di passïoni varie e qual lavoro
Ferva in salvar sì prezïosa testa.
Chi va chi vien chi piange: ma ristoro
Gli porgerà con man felice e presta
D’Ippocrate l’alunno, che in buon punto,
Util più ch’altri, ai consiglier s’è aggiunto.