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l’etruria vendicata. — canto iii | 215 |
Graffio è primo tra questi. Avi ei non vanta
Chiari nè oscuri; e donde ei nasca, ignora:
Lo scarno corpo immensa toga ammanta;
Scarno, benchè lo impingui il sangue ognora
Del volgo, e sia per lui giustizia santa
Data a chi meglio le bilance indora.
Ben ei di regio cancellier il seggio
Empie: chè in corte il più fellon non veggio.
Ma Dïorizio consiglier di guerra
A far di lui qui menzïon m’invita.
Se in tuo servigio, o Marte, un poco egli erra,
Fa’ che lo escusi l’età sua fornita
Tra pacifici inchiostri in queta terra:
Ma, nella tanto al sire opra gradita
Di soppressare, ove ei pur n’abbia, i prodi,
Non è ministro che quant’ei si lodi.
Oh! chi se’ tu che torvo atroce sguardo
Vai folgorando sui colleghi tuoi?
Pseudologo se’ tu, quel sì bugiardo
Di regi dritti allegator, che noi
Spogli del nostro, e vieti abbia riguardo
Il prence al rio giurar degli avi suoi?
Questi, questi è di Stato alta colonna,
Che legalmente dell’altrui s’indonna.
Ma, non fia già che Mormolicco io lassi,
Scaltr’uom che ha sempre sulle labbra il riso
Ch’empio co’ rei, co’ buoni ottimo fassi.
Invid’arte di corte invan diviso
L’ha dal signor cui troppo in grazia stassi:
Al suo ritorno, appien l’ha riconquiso;
E fatto onnipossente e dentro e fuori:
Tratta egli sol con gli esteri oratori.
Segue quell’instancabile cervello,
Bdella, che al gran lavor continuo ferve:
D’ogni cosa far oro è il pensier fello
Cui giorno e notte a pro del duca ei serve:
D’ogni elemento al volgo ei fa balzello
In guise mille e tutte empie e proterve;
Ma non fia che mai tanto al volgo ei prenda,
Che il sir, dell’altrui largo, più non spenda.