Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
214 | vittorio alfieri |
Il quarto scanno a Cheroísso tocca,
Alto terror de’ cervi e daini in caccia.
Nè di Latona pur la prole scocca
Dardo che a par de’ suoi rovina faccia:
Pur, dotto in corte, assai men spesso imbrocca
Quand’è col prence, e a lui minor si spaccia:
Quindi è duce de’ boschi; e il sir l’ha adorno,
Perchè il rispetti ognun, d’argenteo corno.
Osseronte vien poscia, astuto e avaro,
Per sè più che pel sire, guardarobba.
È d’ogni altr’arte questo grande ignaro,
Fuorchè saper come magion si addobba.
Ben tollerati oltraggi il rendon chiaro;
Chè nullo in corte al par di lui s’ingiobba,
Sì che sua guancia fu onorata spesso
Dalle scherzose man del prence istesso.
Coriccio segue, barbassoro in cui
Cura importante dello Stato posa.
Più corti ei vide, e dir gli giova: Io fui.
Alta scïenza in cor preme nascosa:
Il preceder, lo star, l’andare altrui,
E il sedere, e il rizzarsi, e ogni altra cosa
Ch’usa del prence alla presenzia sacra,
Son gli alti studi a cui la mente ei sacra.
De’ primi grandi ultimo vien Pitillo,
Che alla reale mensa i vini mesce.
A donneschi trionfi il ciel sortillo,
Nè al bianco crine or già ’l bel sesso incresce:
Molle, attillato, qual prisco Batillo,
L’appassita beltà coll’arte accresce:
Bianca fresca vermiglia e liscia pelle
Ha sì, che par suo viso opra d’Apelle.
Ecco i sette primai splendor del trono;
Luminari maggior che al regio sole,
Come i pianeti a Febo, intorno sono.
Ecco sett’altri poscia, a cui non duole
Seconda luce onde dal prence han dono:
San che fumoso onor, vuote parole
Sogliono al fianco andar di maggioranza;
Ma che sta presso lor vera possanza.