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l’etruria vendicata. — canto ii | 207 |
Quando improvvisamente ecco turbarsi,
E mugghiando strosciar dell’Arno l’onda;
Ora in vortici aprirsi, or rigonfiarsi,
Tal che ne trema l’una e l’altra sponda;
Non altrimenti che sott’essa d’arsi
Zolfi s’aprisse voragin profonda;
Sì ch’or l’acqua nel vuoto giù trabocca,
Or l’adirato fuoco in su la scocca.
Così là dove al cavernoso fianco
D’Etna tonante il mar rabido fragne,
Spesso Vulcan di sofferir già stanco
Che impetüosa altera onda lo bagne,
Quel fuoco a cui mai l’esca non vien manco
Sgorga sovra le liquide campagne;
E d’imo a sommo a svolgerle sotterra
Tutte le ardenti sue chiostre disserra.
Or che fia mai che l’umil Arno agguaglia
Al mar ch’ogni elemento a prova mesce?
Ecco già vinta ha la feral battaglia
Fiamma che fuor dell’acque orribil esce:
Torba fiamma che in su già non si scaglia,
Ma lenta lenta a poco a poco cresce:
Ed or l’asconde, or l’appalesa un tetro
Fumo che intorno serpe in vario metro.
Di sangue assai più che di fiamma rosso
Color tra ’l negro fumo ivi traspare.
Pria smisuratamente sopra il dosso
Dell’onde alzato torreggiante appare:
Quindi forma vestir di uman colosso
Vedi il vapor; poi dal salir restare:
E, quel fragor terribile tacendo,
Più terribil seguir silenzio orrendo.
D’ira e dolor la spaventevol forma
Sua faccia atteggia in vêr Lorenzo vôlta:
L’ispida barba, e l’irto crin s’informa
Di lunghe strisce di caligin folta:
Irsuto è il ciglio, d’atra nube a norma:
Fiamma in profonda caverna sepolta
Fosco-splendente il morto occhio rassembra;
Sanguigno foco, l’altre immani membra.