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206 | vittorio alfieri |
Timor lo assal sol di non compier l’opra
Ch’altro timor nel petto suo non entra:
Dunque è mestier che il suo furor ben copra;
Ch’ove non può virtude, arte sottentra.
Volto ei compon che l’animo non scopra;
L’ira nel cor profondo riconcentra;
E in non crucciato, anzi in gioioso aspetto,
Dice: Dunqu’io d’entrar qui l’ora aspetto.
Soggiunge l’altro: Aspetteresti assai,
Chè in suo fido consiglio il prence stassi:
E nuova legge vuol che non più mai
Uom non richiesto alle sue stanze passi.
Perduta ha dunque ogni speranza omai
Lorenzo d’inoltrar dentro i suoi passi:
Ond’ei le spalle dà senza far grido,
Aspettando che il duca esca dal nido.
Fra sè rivolge qual cagion novella
Oltre l’usato il sir sì cauto renda:
Ma poi sovviengli che natura è quella
Di chi regna, temer che ogni uom l’offenda,
E più temer quanto più l’alma ha fella:
Quindi stupor non fia ch’ei di ciò prenda.
Trema a tua posta, trema (ei grida), o vile:
Già, per tremar, non sfuggirai mio stile.
Poi fa pensier come assalirlo tosto
Che il piè fuor della reggia iniqua ei porte:
Sia, quant’ei vuole, in mezzo a’ suoi nascosto,
Sì, ’l troveranno pur vendetta e morte.
Già già Lorenzo s’è in aguato posto,
Dove in solinga via celate porte
Del principesco ostello escono al fiume,
Donde il sir fuori andare avea costume.
Quinci a’ suoi stupri e a sue vendette ei muove
Tacitamente con pochi seguaci:
E quivi han scelto far le ardite prove
Di Lorenzo le cupe ire sagaci.
Era omai l’ora in che il figliuol di Giove,
Quel che disperde le notturne faci,
Giungendo al fin del suo veloce corso,
Par che a’ feri destrier più allenti il morso: