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204 | vittorio alfieri |
Ma troppo è certo il vincer tuo: ti scorre
Nelle vene per me libero il sangue
Di quel gran Soderin, che ardì sol porre
Il piè sul Medicèo tirannico angue:
Tu del nome paterno a te ben tôrre
Saprai l’infamia, se in tuo cor non langue
L’ira materna, e se abborrir tiranni
Io t’insegnai fin da’ più teneri anni.
Tu, benchè nato di Medìceo seme,
Per me purgata hai già tal macchia in parte:
Se al vostro nome ogni uom d’orror qui freme,
Cor ben altro tu spieghi e ben altr’arte:
Da’ tuoi se oppressa la tua patria geme,
Qual ti fia gloria in sua difesa armarte!
Qual gloria a me, se dal mio fianco usciva
Germe di re che tirannia sbandiva!
So che tu, nato a iniquo trono appresso,
Mai, se non per disfarlo, nol bramasti.
Or ecco t’offre il crudo prence istesso
Alta cagion che a tanto effetto basti;
Va’ dunque, corri, scágliati sovr’esso:
Già non fia che a virtù viltà contrasti:
Teco è lo sdegno mio; teco è di tutti
L’alto furor: teco di Bianca i lutti:
Teco il gran braccio di quel Dio possente,
Che fe la ebrea donzella un dì sì forte,
Che osò, per dar vittoria alla sua gente,
Entro nemica tenda a un re dar morte.
Deh, fossi io teco, come in cor l’ardente
Brama ne avrei! che di niun’altre scorte
Or m’udresti al ferir farti parola:
Scorta a tanto sarìa questa man sola.
Disse: e Lorenzo già dai materni occhi
S’è dileguato a vol, rapido tanto
Che assai men va stral che dall’arco scocchi.
Le donne entrambe desolate intanto,
Acciò lor duol più libero trabocchi,
Della magion nel più riposto canto,
Là dove fioco alcun barlume fiede,
Ritraggon meste il vacillante piede.