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202 | vittorio alfieri |
E noi l’udimmo? Or che più narro? assai
Tutto comprendi in cor, quant’è l’oltraggio
Da nobil sangue non patito mai,
O vendicato con viril coraggio.
Tu fremi? oh gioia! oh figliuol mio! sciorrai
Tu, sì, sciorrai di così reo servaggio
Il crudo infame abbominevol nodo,
Cui codardia fa sol tenace e sodo.
Mentre con pianto e rabbia escon tai detti
Dalla adirata dolorosa donna;
Del figlio, a cui già in cor bollian ristretti
Feroci spirti, alto stupor s’indonna:
Son gli accenti al rispondere intercetti;
Fredda immobile sembra alta colonna;
Tanto è profondo ed immenso il suo sdegno:
Ma di vendetta il gran silenzio è pregno.
Ecco già rotte al suo furor le sbarre:
Con occhi accesi orribilmente torti
Stridere in suon tremendo, il ferro trarre,
Gridar: Muoia il tiranno: alti trasporti,
Vivi moti, cui mal penna che narre
Tenta ombrar di color fievoli e smorti;
Tai di Lorenzo i rapidissimi atti
Sono: e men ratto assai palpèbra batti.
Già fuori, già del limitar si scaglia,
Reiterando: Muor, muori, tiranno.
Ma la minaccia e il corso ecco gli taglia
Bianca, che esclama con mortale affanno:
Deh, fratel mio, t’arresta! ah! più ti caglia
Di te, di noi: t’arresta: orribil danno
A tutti noi sovrasta: odimi; ah! pria
Tutta almen odi la sventura mia.
Che vuoi tu far? valor non è che baste
Contro il fellon, cui sua viltà nasconde
Dietro ben cento e cento usberghi ed aste
Per te per noi s’io tremo, or n’ho ben d’onde.
Quel che a me sposo dar già voi fermaste,
Al cui fedele amor mio amor risponde;
Quegli, or più giorni in carcer duro afflitto,
Nunzio m’è al cor d’ogni maggior delitto.