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l’etruria vendicata. — canto i | 199 |
Ripiena è tutta la parete terza
Di Lucrezie di Bianche e d’Isabelle,
Cui casto amore intorno intorno scherza,
E di ghirlande par le adorni e abbelle.
Ma co’ fervidi rai più non mi sferza
Apollo, ond’io non vaglio a dir di quelle:
Sol concede ch’io accenni Caterina,
Di Francia, umana, pia, giusta reina.
Questa è colei che al gran Clemente accanto
Vedemmo or or di blanda sposa in atto:
Eccola invasa qui da furor santo
Serbar di Cristo a forza il culto intatto.
Senna impara per lei, di Roma quanto
Vaglia il pugnal; se in queta notte è tratto
Se all’improvviso e a tradimento ei fiede,
Propugnator della verace fede.
Ecco dell’apostolico macello
Dare il segnal la gran tosca Giuditta:
Ecco del figlio il padre, ecco il fratello
Del fratello provar la destra invitta:
Ve’ come mai non resta il pio coltello,
Fin che ogni eretic’alma a Dio trafitta
Cadendo innanzi in olocausto sacro
Fatto non ha di sangue ampio lavacro.
Inermi, ignudi, in letto, a sonno in braccio,
D’ogni età, d’ogni sesso, d’ogni grado,
Senton di morte il repentino ghiaccio
Sì, che di Senna ecco sanguigno il guado.
Le strida, i pianti, gli ululati io taccio
Della notte, che Roma ebbe sì a grado:
Sol Caterina trïonfante io miro
Vietar ch’abbiansi i morti anco un sospiro.
Così il Tosco signor per ogni dove,
Dall’alto seggio suo volgendo i lumi,
Grandi opre ognora, virtüose e nuove
Mira de’ suoi, per cui son pari ai Numi.
Della quarta parete a dir non move
La Musa mia: son pinti ivi i costumi
Dei sette Savi, cui veder non lascia
Ampio trono regal che il muro fascia.