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l’etruria vendicata. — canto i | 197 |
Raffaello immortale! oh come in volto
Al padre santo il pio desir fiammeggia!
Perchè sia il regno di Sïon ritolto
A chi ’l sacro terren preme e dileggia,
Va d’ogni fallo il peccator già assolto,
Cui croce a mezzo il petto ampia rosseggia.
E il buon messo d’Iddio par quivi inviti
I re che aver spera all’impresa uniti.
Poi degli indugi lor dolente e irato,
Com’uom cui roda di vendetta il tarlo,
Già di Cristo il vessillo aver spiegato
Non vuole indarno; ed ora il quinto Carlo,
Ora il grand’Emul suo, duce ha creato:
Ma sordi entrambi niegan d’ascoltarlo
Stolti, cui di lor regni cura muove
Più che il sepolcro del figliuol di Giove.
Raffaello così gran parte adombra,
Se tutte no, del fier Leon le gesta.
Quanto riman poscia del campo ingombra
Clemente, cui papal triregno innesta
Tra i buon Medícei germi onde lo sgombra
La madre sua più bella assai che onesta.
Frutto ei non è di sacramento schietto:
Ma che rileva? egli è d’Iddio lo eletto.
D’Iddio lo eletto è il settimo Clemente,
Non men che gli alti antecessori suoi.
Qui il vedi in atto d’uom, che santamente
Brama in pace compor due fieri eroi,
Rivolger entro la papal sua mente
Cosa onde gli ha forte ad increscer poi;
S’ei debba o no de’ Galli il re disciorre
Da quanto ei giura entro all’Ispana torre.
Ma infranto poi per sua sentenza cade
Il regal giuro; ch’ogni giuro è vano,
Se nol rafferma l’alta potestade
Di lui ch’è in terra l’arbitro sovrano.
Quindi s’adira, e di profane spade
Roma rïempie il vincitore Ispano;
Tal che di Cristo il gran Vicario veggio
Sforzato, e vilipeso il santo seggio.