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l’etruria vendicata. — canto i 195


E così tutta ingombra è la parete
D’opre simíli, e non di un Cosmo solo,
Ma di quant’altri del bel numer sete,
Cosmi o Fernandi del Medíceo stuolo.
Qual di Pisa tradita alloro miete;
Qual le rôcche adeguar minaccia al suolo
Di Siena vinta, ma coi brandi Ispani
Comprati dai pacifici Toscani.

Nè fia stupor, se Michelangel pinse
Quivi le fatte e le future imprese;
Chè qual sue labbra in Aganippe tinse,
Sia poeta o pittor, tosto comprese
Ha le venture etadi; e già lo strinse
Il profetico spirto a far palese
Dei nipoti la gloria agli avi illustri,
Se premio ottiene ai vaticini industri.

Nella opposta parete opre di pace
D’altri Medici eroi, ma non men chiare,
Altro pennel quanto il primier verace
Havvi dipinto; e li vedi parlare.
Quei che noto d’Urbino il nome face
Che non si udria senz’esso ricordare,
Di Clemente e Leon, duo Papi santi,
I santi gesti avviva e i pregi tanti.

Qui ’l gran Leon, di sì feroce nome
Decimo che di Piero il seggio prema,
Vedresti carco di papali some,
Con man di cui la sola Italia trema,
Maladir genti assai di noi men dome;
E aver la sacra sua faretra scema
Nel saettar quei duri cori, a cui
Piaccion più che il ciel compro i regni bui.

Oh cieca in vero, e dal cammin del sole
Lontana affatto nazïon perversa,
Che coll’oro mercar non vuoi parole
Sante; per cui, benchè nel fango immersa,
Ogni alma può, se il peccator ben vuole,
Innanzi a Dio tornar candida e tersa!
Scuoti, o Leon, le giubbe; e i feri artigli
Aguzza; e accarna i travïati figli.