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194 | vittorio alfieri |
Così cantâr del vile Augusto il grande
Mantovan cigno e il Venosin venduto:
Così ne avvien che ai posteri tramande
Gli Estensi duci il da lor mal pasciuto
Vate, che a voi sì vario l’ali spande.
Deh! che non stette ogni alto ingegno muto,
Pria che i fiacchi laudar, con biasmo espresso
Di virtude dell’arte e di se stesso?
Cosmo che primo ai cittadini sui
La patria tolse, e della patria padre
Pur lo gridava la viltade altrui,
Par ch’ivi spiri infra le tosche squadre
A ogni altri schive d’obbedir che a lui.
Ma nè il duce nè i suoi le vesti hann’adre
Di sangue ostil: troppo saria menzogna
Pinger ferite ove fu sol vergogna;
Vergogna ai vinti, ai vincitor non gloria:
Pugne, cui non Bellona o Marte fero
Vedi guidar, ma il più timor vittoria
Dare a quei che ferrar più e più si fero;
Pugne, di cui narra verace istoria
Durate esser talvolta il giorno intero,
E solo un uom, non già di spada, spento,
Ma sotto il peso dell’armi, di stento.
Tali di Cosmo eran le imprese: ed ora
Il vedi in rotta por d’Adria il Leone,
Che rugge in voce ogni dì men sonora;
E mercenaria gente alla tenzone
Manda, e dell’altrui braccio si avvalora;
Rado ei trova però cotal campione
Che morir voglia in sua difesa; e spesso
Ha i vili duci suoi sbranati ei stesso.
Or contro le Sforzesche Insubri torme,
Or contro il gran vessillo del Vicario
Di Cristo che sì ben ne calca l’orme,
Move Cosmo il suo Tosco armamentario.
Nell’una e nell’altr’oste in mille forme
Timor vedresti sotto aspetto vario:
Colpi al vento, minacce, fughe, fremiti;
Di morte no, ma di spavento gemiti.