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l’etruria vendicata. — canto i 193


Parlava il re: gli altri taceano tutti;
Ovver laudavan; del feral periglio
Che seco arreca il vero appieno instrutti,
Qual di croce temendo e qual d’esiglio,
D’amistà principesca usati frutti.
Pur tal consesso i re nomâr consiglio,
Ad esemplo di quei sì venerandi
Che adunò Roma ai tempi memorandi.

Sorge entro al nido del toscan tiranno
Sacro ai consigli spazïoso loco,
Ov’ei risolver suole il comun danno
Non senza prima dir: Gran Dio, te invoco.
L’alte pareti prezïose fanno
D’eccellenti pittor l’opre, che foco
Celeste spiran sì che ingegno umano
Fatte non le diría da mortal mano.

Nella parte ch’è vôlta al pigro Arturo,
Michelagnol, quel grande senza pari,
Diè vita e moto in sull’ignudo muro
A’ Medicèi signori, al mondo chiari
Per aver già sotto il lor giogo duro
Ridotto i Toschi a libertà discari:
Nè marzïal virtude era lor laude,
Ma ben speso oro e ben usata fraude.

Pur di costor le militari imprese
(Sognate o false) il gran pennello avviva.
Oh scellerati tempi! oh vilipese
Arti divine! oh cieca etade priva
D’ogni senno e valor! dal ciel discese
Tanto artefice dunque, affin che viva
Memoria eterna rimanesse al mondo
D’infami eroi degni d’oblio profondo?

Michelangiol, che pugne altre ritrarre
Non dovea che dei Numi in Flegra irati,
O di quei che a Termopile le sbarre
Chiusero all’oste coi corpi svenati,
O di quei che togliea Roma alle marre
Gran capitani a un tempo e pro’ soldati;
Michelangiol, da’ rei tempi costretto,
Eroi ritrasse a cui fu campo il letto.

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