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l’etruria vendicata. — canto i 191


Ma non è chi d’Arrigo i passi avanze,
Che dar vuol primo al suo signor soccorso;
E d’uomo ardito ei veste or le sembianze,
Or ch’ei si sente armato stuolo al dorso:
Ed atrii e scale e logge e sale e stanze
Del gran palagio in un istante ha scorso;
Infin che giunge là, dove stridendo
Giace Alessandro di angoscia morendo.

Urta, spalanca, atterra, e al letto corre
(Fatti addietro restar gli armati pria);
E semivivo il trova in opra porre
Di sue forze l’estremo, e tentar via
Onde al supposto assalto ei s’abbia a tôrre;
Ma invan, chè in letto par chiovato sia.
Trema Arrigo in veder la regal tema:
D’Arrigo ai moti intento il prence trema.

Soglion talora duo mastin ringhiosi,
Fin che l’un l’altro si miran da lunge,
Fieri in atto mostrarsi e minacciosi,
Come quei ch’odio stizza e rabbia punge:
Poi, quanto appressan più, meno animosi
Li fa viltade; e qual primiero giunge,
Già s’è pentito, e intorno gira, e guata
Se l’altro il teme, e s’è in sembianza irata.

Così il gran Tosco Duca, e Arrigo forte,
Esterrefatti, l’un l’altro guatava,
Dipinti in viso di color di morte:
Ciascun tremante l’altro spaventava:
Nel periglio temendo esser consorte
Arrigo al suo signor, per sè dubbiava:
Non sa il tiranno, se a prestargli aiuto
O se a ucciderlo sia costui venuto.

Ma pur vedendo poi che almeno eguale
Se non maggior temenza il cuor gli scuote,
Alquanto ardir ripiglia; e in atto, quale
Assume un re che vuol più che non puote,
Tra minaccioso e timido, con frale
Voce prorompe in fulminanti note:
Tanto, perfido, ardisci? a che ne vieni?
Chi sei? tu tremi? olà, guardie, si sveni.