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188 | vittorio alfieri |
Socchiusi appena i timidi occhi avea,
Ch’entro al pensier, non mai di cure scarco,
Strana ed orribil visïon pingea
De’ suoi tanti misfatti il grave incarco.
Ben è dover che in coscïenza rea
Pace non entri; e sta il rimorso al varco:
Troppo del ciel sarian le ingiurie espresse,
Se chi la toglie altrui pace godesse.
Nell’inquïeto amaro sonno ei vede
Uom, che in aspetto orrendo, lento, lento,
Sen vien così, che par non muova il piede:
Porta impresso nel viso alto spavento,
Come colui che in sua virtù mal crede:
Guardingo appressa; e, come foglia al vento,
Tutto trema dal capo infin le piante:
Or s’arretra, or s’arresta, or torna avante.
Veste triplice usbergo, e doppio scudo
Con mal sicura man regge ed imbraccia;
Membro non ha che sia di ferro ignudo;
Sola discuopre la squallida faccia:
Par non men che codardo agli atti crudo,
Ch’ora a vicenda ei pave ed or minaccia,
Come ogni vil suol far s’ei crede altrui
Men possente o più timido di lui.
Tale ei s’inoltra, e giunge alfin là dove
Il sir d’Etruria palpitante giace.
Tremi tu? dice: alle sublimi prove
Scorrer ben veggio in te sangue verace,
Che di regio-celeste fonte muove:
Ben se’ tu figlio d’alcun tosco Aiace.
Gelida mano, in così dire, al core
Gli adatta, e ’l stringe, e addoppia in lui l’orrore.
Quindi prosiegue: O per valor tu degno
Sovra i vili mortali aver possanza,
Me non ravvisi? eppur d’ogni uom che ha regno
Io spiro al cor la timida baldanza:
Io d’atterrire altrui l’arte gl’insegno,
E a ben celar la propria sua sfidanza:
Io delle corti onor, nume, custode,
Timor mi appello; ed ogni re fo prode.