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l’etruria vendicata. — canto i 187


Mira; lo impugno ad ambe mani: e giuro,
Quel che sopra vi sta sangue rappreso
Terger col sangue del tiranno; e giuro,
Ch’entro al mio cuor solo al ferire inteso
Speme o timor nulla potranno; e giuro,
Se avvien ch’ei scampi da mie’ colpi illeso,
O che il trono col sir non cada a paro,
Tosto immergere in seno a me l’acciaro.

Qui di parlar ristassi; e in se disegna
Il tempo, i mezzi, il loco, ove ad effetto
L’ardua impresa condur meglio convegna.
Ma il prence intanto entro all’aurato letto
Già non dorme (chè mal dorme chi regna,
Pieno il cor di viltà tema e sospetto),
Non dorme; e in vano il travagliato fianco
Volge or sul destro lato ed or sul manco.

Conscio a sè de’ suoi vizi e di sue tante
Sozze crudeli ingiuste opere avare,
Odio cova nel petto egro-tremante:
Nè scema il suo timor l’altrui tremare.
Fremere ogni uom vede al suo aspetto innante;
Chè, non che i buoni, i rei nol ponno amare:
Nè fraude a sè può usar; chè nel cor pravo
Più vil si sente d’ogni vil suo schiavo.

Volge fra sè nella turbata mente
Gli stupri, i danni, le rapine, l’onte,
Lo sparso sangue, e le tant’alme spente,
E del serto non suo cinta la fronte:
Ma se avvien poi che il suo natal rammente,
Freme d’uscir da così impuro fonte:
Spurio infame, ei non sa chi a lui sia padre;
Nota gli è sol per suo rossor la madre.

Non è, non è però sozzo cotanto
Il sangue in lui, che assai nol sia più il core;
Benchè a celar lordura il regal manto
Sia d’ogni vel qualunque il vel migliore.
Picciol d’alma e di cuor, sol si dà vanto
D’esser d’ogni uomo in crudeltà maggiore:
Ma quanto è crudo più, tanto più trema;
E a lui par quella notte esser l’estrema.