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L’ETRURIA VENDICATA.


CANTO PRIMO.


Steso ha sull’Arno il tenebroso ammanto
Oltre l’usato orribile la notte:
Per l’aer denso odesi il flebil canto
Di augei sinistri con note interrotte:
Tristo un chiaror di spessi lampi è spanto
Terribilmente fuor da nubi rotte:
E di tuoni e saette alto fragore
L’aura ingombra ed il colle e il pian d’orrore.

In sua magione immerso in grave sonno
Giace intanto Lorenzo, intrepid’alma,
Che di se stesso e d’alto oprar non donno
Del rio giogo servil scuoter la salma
Vorria; chè i prodi mal portare il ponno:
Or suoi mesti pensier in breve calma
Danno insolita tregua alla bollente
Libera, ardita, irrequieta mente.

Quando allo scoppio d’improvviso tuono
L’etra avvampar, muggir la valle, e tutta
Tremar la terra in spaventevol suono
S’ode, quasi dal ciel fosse distrutta.
Fugge il sonno all’orribile frastuono;
E sta Lorenzo a udire in fera lutta
Pe’ vasti aerei campi andar frementi
Con tal rovina imperversando i venti.

Più da stupor che da terror compreso,
Tacito a sè chiede s’ei veglia o dorme:
Chè rotto il sonno da non mai più inteso
Fragor smarrir gli fa del vero l’orme,
Quand’ecco in dubbio più di pria sospeso
Fera vista lo tien di strane forme,
Che tremenda corona intorno al letto
Gli fan del tetro lor funèbre aspetto.