Qual se in tempesta orribile una calma,
Figlia dei Numi, a insignorir pur viensi
Dell’atre rugghianti onde;
Tale un sopor maraviglioso i sensi
Viene acquetando in me dell’ardent’alma,
Su cui latte diffonde;
E al par col sonno placido già un’alma
Visïon, ch’io da Giove uscir ben scerno,
In mia mente serpeggia.
La custode del folgore superno,
Che appiè del trono dell’Olimpio aleggia,
Parmi veder; che acuti occhi raggianti
Vibri in me, sprone a onnipossenti canti.
Nè il dardeggiar dell’aquilino sguardo
Basta: vi aggiunge altro ammirabil mostro,
L’articolata voce
Che intento io bevo dal divin suo rostro.
«Dell’arte tua sublime ond’io tutt’ardo
«L’immaginar veloce,
«Appo il quale il mio fulmine par tardo,
«Già in un attimo solo ha in sè compreso
«L’È stato, l’È, ed il Fia:
«Quindi hai l’oracol pienamente inteso,
«L’una accoppiando all’altra gloria mia;
«D’aspro coraggio le indomabili arti;
«E d’acuto intelletto i maschi parti.»
«Carmi v’ha che fien l’organo
«Di pura e sacra libertà; che impera
«Vili del par si scorgano
«E gli Spartachi e i Cesari, perch’almi
«Catoni un dì risorgano.