Ma, se innalzar vieppiù dolci canore
Suol (com’è fama) al bel Caístro in riva
Le finali sue voci,
Pria che dell’almo suon l’aura abbia priva,
Candido cigno che cantando muore;
Così, mentre veloci
Del mio canto omai fuggon le ultim’ore
(Pur che là, Febo, il vogli),
Fors’io nell’atto in che il tuo don ti rendo,
L’etrusca lira che tu a me non togli,
Forse ch’io pur vieppiù suonante ascendo
Ove non mai per sè giungean mie note,
Mercè il gran nume tuo che il tutto puote.
Odo un muggito orribile:
Scosso nel delfic’antro il suol traballa:
Già mi si fa visibile
Dalla squarciata in duo sacra cortina
La Sibilla terribile,
Fonte del vero a chi costretta avralla.
Alma face divina
Le avvampa in fronte: l’alitante petto
Gonfio trabocca dell’ardente Iddio:
E il suo rabido aspetto
E infra frementi labbia il muto urlío
Mi perturba e m’infiamma
Sì, che fatto esser parmi e son più ch’io,
Nè in me di sano omai riman pur dramma.
«Che vuoi?» Grida ella in spaventevol suono.
Non le rispondo io, no: bensì le afferro
Con ambe man la mano;
E tra minace e supplice mi atterro,
Qual uom che i di lei detti anéla in dono.