O tu, nella sublime opra d’Apelle,
Di mano e in un di nome egregio Fabro,
Che in quattro tele già il mortal mio labro
Vivo tramandi a molte età novelle;
Ben è dover che a posta mia ti abbelle,
A te volgendo (s’io di lor son fabro)
L’onor de’ Carmi a meritarsi scabro,
Alta eterna mercè dell’arti belle.
Ambo noi contro al saettar d’Oblío
Spinge d’arme diversa armati in campo,
Nobil motor, l’almo Apollineo Dio:
Dunque al dente degli anni un doppio scampo
S’abbia il tuo Colorir dal Cantar mio,
Poichè le rime han men fugace il lampo.
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Di giorno in giorno strascinar la vita,
Incerto sempre, e pallido, e tremante
Or per la pura tua sostanza avíta,
Or per l’amico, or per la moglie amante;
Or per la prole insofferente ardita,
Or per te stesso; e l’aspre angosce tante
D’alma sì atrocemente sbigottita,
Dover celar sott’ilare sembiante:
Nè schermo aver, fuorchè di farti infame,
Contro ai buoni tuoi par brandendo l’asta,
Sgherro adottivo del plebéo Letáme;
E ancor tremar; poich’esser reo non basta,
Per torti all’empie inquisitorie brame: —
La Libertà quest’è, ch’or ti sovrasta.
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