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168 vittorio alfieri


CCLXIII (1796).

Non compie un lustro ancor, da ch’io pur dava
(Qual dovea liber’alma altera e pura)
Addio perenne all’abborrite mura
Del vil Parigi, ov’io schiavo mi stava.

Reo d’alti sensi entro città sì prava,
Di risentita indomita natura,
Morte vedeva io là che ingiusta e oscura
Sempre in sul capo mio fera aleggiava.

Di carcer tale il Ciel mi trasse; e meco
Quella, ch’io più di me medesmo ho cara;
Sola per cui la vita a don mi reco.

Ma quanti amici (ahi rimembranza amara!)
Spenti udii poscia in quell’orrendo speco,
Dove a bramar perfin Turchia s’impara!

CCLXIV (1796).

Donna, o tu che all’età vegnenti appresti
In questa tela un monumento industre,
Che in un l’arte tua bella e il quadrilustre
Affetto tuo ver me costante attesti;

Deh, come vera riprodur sapesti
Questa mortale mia spoglia palustre!
Deh, qual più salda, e più che l’altra illustre,
Vita seconda a’ miei sembianti or desti!

Forse in quest’opra tua mirando un giorno
Qualche alta coppia di amator beati,
Staran pensosi al bel lavoro intorno:

Poscia esclamar si udranno: «Oh fortunati;
«Duran lor fiamme ancor, degli anni a scorno!» —
E gli occhi avran di lagrime bagnati.