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166 vittorio alfieri


CCLIX (1796).

DIALOGO

fra l’Autore e Nera Colomboli fiorentina.

A. Che diavol fate voi, madonna Nera;
Darmi per sin co’ buchi le calzette; —
N. Co’ buchi, eh? Dio ’l sa, s’i’ l’ho rassette;
Ma elle ragnano sì, ch’è una dispéra. —

A. Ragnar, cos’è, monna vocaboliera? —
N. Oh! la roba, che l’uom mette e rimette,
Che vien via per tropp’uso a fette a fette,
Non ragna ella e mattina e giorno e sera? —

A. Ragnar? non l’ho più udito, e non l’intendo. —
N. Pur gli è chiaro: la rompa un ragnatélo,
Poi vedrem se con l’ago i’ lo rammendo. —

A. Ah! son pur io la bestia: imbianco il pelo,
Questa lingua scrivendo e non sapendo.
Tosco innesto son io, su immondo stelo.

CCLX (1796).

Tutte no, ma le molte ore del giorno,
Star solo io bramo; e solo esser non parmi,
Purchè il pensier degnando ali prestarmi
M’innalzi a quanto a noi si aggira intorno.

Or l’ampio Ciel d’eterne lampe adorno,
Or di man d’uomo architettati marmi,
Or d’alti ingegni industrïosi carmi;
E l’ulivo, e la rosa, e l’ape, e l’orno,

E il monte, e il fiume; e i tempi antichi e i nostri;
E l’uman core; e del mio core istesso
I più segreti avviluppati chiostri:

Cose, onde ognora in mille forme intesso
Norma, che fida il ben oprar mi mostri;
Fan che in me noja mai non trovi accesso.