Pagina:Alfieri - Rime varie (1903).djvu/165


rime varie 159


CCXLV (1795).

Favola fosse, o storia, o allegoria,
La ferita di Venere che espresse
L’alto cantor che il gran poema intesse,
(Dirlo ardisco) in altrui stolta saria.

Tidíde, invaso di ferocia ria,
L’asta vilmente a imbelle colpo eresse;
E acuto ferro in quella mano impresse,
Che pietosa un suo figlio allor copría!

Non eroe, non guerrier, non uomo egli era,
Poichè al vederla non gli cadde a terra
E l’occhio e il volto e l’asta e l’ira fera.

Tai nomi in se Ciprigna ivi rinserra,
(Dea, madre, donna, e in venustà primiera)
Che non potria nè un tigre a lei far guerra.

CCXLVI (1795).

Pregno di neve gelida il deforme
Vorticoso äer bigio forte stride;
Ma il tristo fiato, ch’ogni fiore uccide,
Frenar non può de’ carmi miei le torme.

Spini ingrati son forse ed irte forme
Tai carmi, a cui crudo Aquilone arride?
O a me fiamma cotanto il cor conquide,
Che avvampo io sol, mentr’altri agghiaccia e dorme?

D’ostinato rimar la fonte ignoro;
So, ch’io tacer non posso: altri poi sveli
Se ferro eran mie’ versi, orpello, od oro.

Febo, a te parlo intanto; e invan mi celi
Degli almi raggi il bel vital tesoro,
Poichè il mio canto in tenebre non veli.