Pagina:Alfieri - Rime varie (1903).djvu/158

152 vittorio alfieri


CCXXXI (1794).

Cose omai viste, e a sazietà riviste,
Sempre vedrai, s’anco mill’anni vivi:
E studia, e ascolta, e pensa, e inventa, e scrivi,
Mai non fia ch’oltre l’uom passo ti acquiste.

Sue cagioni ha Natura, in se frammiste
D’alti Principj d’ogni luce schivi,
E di volgari, a cui veder tu arrivi,
Se pazïenza e brama in te persiste.

Ma, a che il saper ciò che imparar pon tutti?
Che pro il crear, poichè creando imíti?
Che pro indagar, se in più indagar men frutti?

Muori: ei n’è tempo il dì, che indarno arditi
Gli occhi addentrando nei futuri lutti,
Cieco esser senti e d’esserlo t’irrìti.

CCXXXII (1794).

Curae leves loquuntur, ingentes stupent.


Sen., Hippol., v. 607.


Queruli (è vero) i medïocri affanni;
Muti i massimi, sempre. Arguto detto,
Vincitor dei trascorsi e futuri anni,
Concepito in robusto alto intelletto.

Beato oh quei, che può narrar suoi danni!
Quei, che sfogando un doloroso affetto,
Trova chi ’l pianto suo col pianto inganni:
Che il lagrimare in due, quasi è diletto.

Ma, se mai di se stesso all’uom vien tolto,
O nell’amata, o nell’amico, il meglio;
Quello è il dolor, che tace in cor sepolto.

Donna, dell’alma mia continuo speglio,
Purch’io viva i tuoi dì, con fermo volto
Far mi veggio e mendìco ed egro e veglio.