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150 vittorio alfieri


CCXXVII (1794).

Mentr’io dell’Arno in su la manca riva
Mesto pel vago Boboli passeggio,
L’ultimo amico a chi il mio cor si apriva,
Spirante (oimè!) là sulla Dora io veggio.

Carta fatal già già mi soprarriva;
Temo in aprirla, e in un d’aprirla chieggio,
Che ancora un raggio di speranza avviva
L’alma mia, bench’io sempre aspetti il peggio.

Cinque dì interi in cotal dubbio orrendo
Viver dovrommi; e poi, chi sa se il sesto?...
Tutto, (ahi!) già tutto il danno mio comprendo.

Io sperava precederti; e son presto
A dar vita per vita, ove il tremendo
Fato il conceda: e il nieghi, io sol non resto.

CCXXVIII (1794).

Beata vita ogni uom quella esser crede,
Ch’egli al suo lungo desïar fea scopo.
Ma intenso oprare al conseguirla è d’uopo;
Natura il vuol, che al comun ben provvede.

Così poi desïando, e oprando, prede
Tutti cadiam della nemica Atrópo:
Nè disinganno arreca a chi vien dopo
Lo stuol deriso immenso, che il precede.

Chi in falsi onori, e chi in ricchezza il senno
Perde, invecchiando in vergognose fasce;
E muor, senza al ben vivere far cenno.

Altri gode, di guerra infra le ambasce;
Altri (e ben so cui, nol volendo, accenno)
Il cor di mobil vana aura si pasce.