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122 vittorio alfieri


CLXXXVIII.

Se vuoi lieto vedermi, un crudo impaccio,
Deh! trammi, o donna; e qual bell’alma suole,
Non mi tacciar (ch’io stesso già men taccio)
D’andar perdendo il senno in Corvo, e in Sole.

Terz’anno è già, che in ozïoso ghiaccio,
Come se avessi una verace prole,
Viver mi fan questi destrieri; e spiaccio
Per essi a Palla, che a ragion sen duole.

Potrei, ben so, s’io men ne fossi amante,
Veder stroppiargli ad uno ad un dal rio
Manescalco carnefice-inchiodante:

Ma il sai; modo non pongo all’amar mio.
Tu sei di me la parte ragionante;
Abbi tu dei destrier la noja e il brio.

CLXXXIX.

Donna, deh, mira il nostro buono Achille,
Con qual gravità nobile ei si asside,
Quasi persona; e in un con noi divide
Di questo ardente fuoco le faville.

Quanto è mai bello! e’ non si trova in mille;
E veramente il core ci conquide,
Quando par sua testona a noi confide,
Chiudendo in sonno sue gravi pupille.

Che ben moscata e ben pezzata pelle!
Che largo petto! che instancabil nervo
Han queste zampe in caccia, grosse e snelle!

Diamgli un vezzo d’argento; ond’ei protervo
Vada; e sopravi scritto in note belle:
A un voler solo in due signori io servo.