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rime varie 115


CLXXIV.

S’io men mia donna amassi, o men le Muse,
Mal nel rigor del verno i dì trarrei,
Quasi sul fiore ancor degli anni miei,
Qui donde son tutte allegrezze escluse.

Solo men vivo in ermo loco, ed use
Mie rime al pianto, ognor sospiran lei;
Che, se a me riede ai dì men brevi e rei,
Farà ch’io men sua lontananza accuse.

Ma ben so, ch’ove, donna di te stessa,
Tu di tua stanza appieno arbitra fossi,
Mai non saria fra noi distanzia messa.

Quindi or con quanto buon voler più puossi,
Mia solitudin porto; e vivo d’essa;
E prego Amor, che più martír mi addossi.

CLXXV.

«Non fu sì santo, nè benigno Augusto,
«Come la tromba di Virgilio il suona»:
Nè fu Virgilio un pensator robusto,
Da fare il vero nascer d’Elicona.

Il non avere in libertà buon gusto,
Dagli alti cuori a lui non si perdona:
Che l’adular chi l’ha di doni onusto,
Fa che il vate in viltà col sir consuona.

E stolta ell’è non men che ria menzogna,
Il dir, che possa un vate in fama porre
Il rio signor, se in fama porlo agogna.

Creda al contrario, chi lo allor vuol corre,
Che in laudar gli empj ei merca a sè vergogna,
Nè dell’infamia a lor può dramma torre.