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rime varie 113


CLXX (1786).

Donna, l’amato destrier nostro il Fido,
Cui tu premevi timidetta il dorso,
Sta di sua vita or per fornire il corso,
Per morbo ond’io sanarlo omai diffido.

Oggi, pur dianzi, di mia voce al grido,
La testa or grave, e un dì sì lieve al morso,
Alzava, e mi sguardava. Allor m’è scorso
Agli occhi il pianto, e al labro un alto strido....

Se tu il vedessi! anco tu piangeresti....
Pieno ha l’occhio di morte; e l’affannoso
Franco, non vien che d’alitar mai resti.

Pur, non so che di forte e generoso
Serba in sè, che i suoi spirti ancor tien desti:
Ei muor, qual visse, intrepido animoso.

CLXXI (1786).

Tenace forza di robusta fibra
Fa che il nostro destrier pugna con Morte
Sì, ch’ella in lui sua falce indarno vibra;
E mie speranze, o donna, or son risorte.

Su i già tremuli piè meglio ei si libra;
Il capo, par che meno peso or porte;
E poichè il dissanguarlo non lo sfibra,
Fia mestier che salute al fin gli apporte.

Già il veggo io già, fin del bel Reno all’onde,
Cacciar per questo lieto immenso piano
Morte, che innanzi al suo volar si asconde:

Già baldo il veggo ritornato e sano,
Meco aspettare, alle novelle fronde,
Il dolce impero di tua bianca mano.


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