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110 vittorio alfieri


CLXIV.

Achille mio, perchè con guizzi tanti,
Baldo e festoso intorno a me saltelli;
E con que’ tuoi pietosi allegri pianti,
Lagrime a me di gioja anco disvelli?

Forse il sai tu, che verso gli occhi belli
D’amore a un tempo e di virtù raggianti,
Or ci affrettiamo noi, quai volan snelli
Per l’aure augei di loro spose amanti?

Ah! sì; tu il sai: la già calcata via,
Ha dieci lune; il non posar noi mai;
E l’insolita in me nuova allegria;

Tutto a te il dice; e ne sei certo omai.
Quindi or tua lingua dire a me vorria:
La donna nostra infra otto dì vedrai.

CLXV.

Ai Fiorentini il pregio del bel dire;
Ai Romaneschi quel di male oprare;
Napoletani mastri in schiamazzare;
E i Genovesi di fame patire.

I Torinesi ai vizj altrui scoprire,
I Veneziani han gusto a lasciar fare;
I buoni Milanesi a banchettare;
Lor ospiti i Lucchesi a infastidire.

Tale d’Italia è la primaria gente;
Smembrata tutta, e d’indole diversa;
Sol concordando appieno in non far niente.

Nell’ozio e ne’ piacer nojosi immersa,
Negletta giace, e sua viltà non sente;
Fin sopra il capo entro a Lete sommersa.