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104 vittorio alfieri


CLII.

Presso al loco ove l’Istro è un picciol fonte,
Nell’atto io d’esser dal mio ben diviso,
Di un gelato sudor sentia la fronte
Molle, e di ardente lagrimare il viso.

E in flebil suono di pietà, che un monte
Avria spezzato, un parlare interciso
Udia di voci a saettar sì pronte,
Ch’io sperai che il dolor mi avrebbe ucciso.

In quel punto, non so quel ch’io dicessi;
Nulla, credo: io piangeva; e piango ancora;
Nè sapea dov’io m’era, o che mi fessi.

Vedea lei sola; e l’ho negli occhi ognora:
A un cenerino drappo avea commessi
Gli omeri, e il crin coprìa color d’aurora.

CLIII.

Mi vo pingendo nella fantasia
(Cagion di pianto e di letizia a un tratto)
Ogni bel pregio, ogni più menomo atto
Della leggiadra amabil donna mia.

Ecco, or la veggo a un bel corsier dar via,
Con grazia tanta; e, come folgor ratto,
Un miglio quasi ella e Narciso han fatto,
Entrambi con sovrana maestria.

Quindi, al suon della voce al mondo sola,
Raccolte ha l’ali il bel Falbetto, il caro
Animal, che diresti aver parola.

Di Partenope i paschi lo educaro:
Ei del mio bene i tristi dì consola,
Con quel suo dolce ambiar snelletto e raro.