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rime varie 97


CXXXVIII.

Era di maggio il quarto giorno, e l’ora
Pria della sesta, il dì che fuor mi trasse
Di dolce vita; e il rimembrarlo ancora
Mi duol, come ora il cuor mi si schiantasse.

Dal punto in poi, per me non sorse aurora,
Che noja, e pianto, e guai non mi arrecasse;
E sì pur vissi, che la speme ognora
Con sue lusinghe il viver mi protrasse:

Ma un morir lento era la vita mia;
Il mio poco intelletto, e il gran desire
D’acquistare alta fama in me languia.

L’ingegno e il cor mi sento or rïaprire,
Nell’appressarmi all’alta leggiadria,
Che darà breve tregua al mio martíre.

CXXXIX.

Quel dolor ch’io provai caldo ed immenso;
Quando da lei mal vivo mi divelsi,
Fitte in cor le sue spade infino agli elsi,
Mi tien tuttor; tal ne conservo il senso.

Pur dovria men d’alquanto essere intenso,
Or che, per non morir, vederla io scelsi:
Ma da radice il mio soffrir non svelsi
Con questo breve passeggier compenso.

Quindi è che gioja, qual dovria, non torna,
Bench’io a lei mi rappressi, entro al mio petto,
Ove il temere ogni goder distorna.

Gran gioja, è ver, ma assai più affanno aspetto;
E quel terribil dì già mi raggiorna,
Ch’io sarò di lasciarla ancor costretto.


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