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96 vittorio alfieri


CXXXVI.

Ingegnoso nemico di me stesso
Già da natura, e per amor più assai,
Da immaginato mal mi avviene spesso
Ch’io traggo veri e ben cocenti guai.

Ecco ch’io lieto, ora, se il fui giammai,
Esser dovrei: poichè vieppiù mi appresso
A chi pur tanto sospirando andai,
E in cui mia speme e vita e gloria ho messo.

E or pur mi assal, senza ch’io tor mel possa,
Nuovo un terror che me la pinge inferma;
E me ne scorre il brivido per l’ossa.

Ma d’onde il so? la sconsolata ed erma
Vita ch’io meno, ogni fantasma ingrossa;
Nè dal troppo sentir senno mi scherma.

CXXXVII (1784).

Per questi monti stessi, or son due lune,
Passava il raggio, la cui striscia aurata
Or vò seguendo; e fea di sè beata
Quest’aspra terra dalle selve brune.

Nè la via sol mi accade aver comune
Con lei, ma il tetto spesso; e m’è toccata
Anche talor sua coltre avventurata,
Che per me non andò di baci immune.

Qui, (dico) il rio cammin noja le dava;
Là, fra scogli quel lago un piacer muto
Con soave tristezza le arrecava.

Qui, l’atterriva questo bosco irsuto:
E qui di te, fors’anco sospirava;....
Ed io glien pago in lagrime tributo.