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di vittorio alfieri 53


XXXVII [lii].1

Come scriverà, d’ora innanzi, le sue tragedie.

Non piú scomposta il crine,2 il guardo orrendo
In fuoco d’ira3 fiammeggiante il volto,
Né parlar rotto, e da mollezza sciolto,4
4Né furor piú, né minacciar tremendo;
Non piú sforzarvi a inorridir piangendo;
Non piú il coturno e il manto in sangue avvolto;
Né il grondante pugnale in me rivolto:5
8Tutt’altra omai di appresentarmi intendo.
Io canterò d’amor soavemente,6


  1. Alla edizione senese delle tragedie alfieriane tennero dietro, inevitabili all’apparire d’un’opera d’arte cosí insolita, cosí vibrata, cosí inesorabilmente castigatrice di tiranni al par che di servi, critiche aspre, violente, parte dirette contro lo spirito informatore delle tragedie stesse, parte contro la loro forma esteriore, che appariva alle orecchie dei piú, abituate alle blandizie della poesia metastasiana, scevra d’ogni grazia e spoglia di qualunque armonia. Cosí veementemente investito, in ispecie dal Corriere enciclopedico e dal Corriere europeo, il nostro Poeta chiedeva al Cerretti ed al Bosi che prendessero pubblicamente le sue parti, per non esser costretto a gridar col Petrarca:
    E non è chi pur mia difesa faccia
    (lett. dell’agosto 1783);
    in pari tempo, a’ morsi de’ suoi detrattori che, con affettata indifferenza, diceva non essergli arrivati all’osso, rispondeva con alcuni epigrammi, dei quali è opportuno riferire i due seguenti:

    I.


    Mi trovan dnro;
    Anch’io lo so:
    Pensar li fo.
    Trovanmi oscuro?
    Mi schiarirà
    Poi libertà.

    II.


    Toscani, all’armi;
    Addosso ai carmi
    D’uom, che non nacque
    D’Arno sull’acque.
    Penna, e cervello;
    L’inchiostro c’è,
    Ma sbiadatello
    Piú che non de’.
    Su via, che dite!
    Non li capite?
    Vi paion strani?
    — Saran Toscani.
    Son duri, impuri,
    Stentati, oscuri,
    Irti, intralciati?
    — Saran pensati.

    (Vegg. Rod. Renier, Il Misogallo etc., Sansoni, 1884, 283 e 285).

    Allo stesso spirito ironico di questi epigrammi s’informa il sonetto surriferito, composto tra Pianoro e Soiano il 28 maggio 1783, nel quale è introdotta a parlare la stessa Musa della poesia tragica.

  2. 1. Scomposta il crine, accusativo di relazione.
  3. 2. In fuoco d’ira, è espressione dantesca (Purg., XV, 106):
    Poi vidi genti accese in foco d’ira...
  4. 3. Sciolto, privo. «Quest’armonia tragica», scriveva l’A. nella nota risposta a Ranieri de’ Calzabigi, «aver dèe la nobiltà e grandiloquenza dell’epica, senza averne il canto continuato...»
  5. 6-7. Il coturno, il manto, il pugnale eran gli attributi di Melpomene. — In me, contro me.
  6. 9-12. Dell’accusa di eccessiva durezza cosí cercava di scagionarsi l’A. nella cit. lettera al Calzabigi: «Io ho ecceduto alcune volte in durezza, lo confesso, e principalmente nelle due prime [tragedie] e piú nel Filippo, e piú nel principio di esso che nel fine; tal che ad apertura di libro, i miei tu, e io, e i’, e altre simili cose, avranno ferito a lei l’occhio