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di vittorio alfieri 13


XII [xvii].1

Non è possibile dire che cosa sia l’anima.

Parte di noi, sí mal da noi compresa,
Alma, v’ha chi d’Iddio te noma un raggio:
S’io chieggo: E che vuol dir?2 tace anco il saggio;
4Che il dar ragion saria ben altra impresa.
Per quanto sia dell’uom la mente estesa,
Scosse egli mai de’ sensi il vil servaggio?
Stolti, oh quei, che spiegare ebber coraggio
8Cosa ad altrui, né3 da lor stessi intesa!
Veder, toccare, udir, gustar, sentire;4
Tanto, e non piú, ne dié Natura avara;
11Indi campo ci aggiunse ampio al fallire.
Quinci nacquer parole, e errori, a gara;
Né fu convinto mai l’umano ardire
14Che molto sa chi a dubitare impara.


XIII [xxxi].5

Vestirà d’or innanzi sempre di nero.

Negri panni, che sete ognor di lutto,6
O vero o finto, appo ad ogni altri insegna;


  1. In filosofia l’A. seguí nella sua giovinezza le teorie di Giovanni Locke (1632-1704) il cui pensiero può dirsi sommariamente contenuto nelle seguenti parole del cap. 1° del libro II del suo Saggio sull’intelletto umano: «Io suppongo in primo luogo che l’anima, quando comincia ad esistere, sia come una tavola rasa senza caratteri, senza idee d’alcuna sorta; e dico che colla sola propria esperienza ella giunge ad acquistare tutto quel gran numero d’idee e di cognizioni che ha in appresso. Questa esperienza si chiama sensazione, quando ci fa sentire l’azione degli obietti esteriori e sensibili... Questa medesima esperienza si chiama riflessione quand’ella ci fa riflettere attentamente alle operazioni dell’anima nostra; e quindi ci vengono le idee della percezione, del pensiero, dei dubbio, della volontà, del raziocinio etc. La sensazione adunque e la riflessione sono le sole sorgenti, da cui il nostro intelletto ricava tutte le sue idee, comunque grande ne sia il numero e infinita la varietà». Di queste teorie è un’eco nel surriferito sonetto, (i sonetti filosofici eran di moda nel sec. xviii) che l’A. compose l’11 marzo 1778.
  2. 3. Che vuol dire questa definizione? Che significa: l’anima è un raggio divino?
  3. 8. Né, neppure.
  4. 9. Accenna allo speciale ufficio dei cinque sensi.
  5. * Questo sonetto fu composto nel marzo del 1778: all’anno 1801 dell’Aut. l’A. ci fa sapere che era sua costante abitudine vestire di nero; all’anno 1778 dice al contrario che usava l’abito nero andando la sera in società, e che di giorno vestiva di «turchinaccio»: non bisogna dunque intendere ciò ch’egli dice nel presente sonetto in un significato troppo assoluto.
  6. 1-4. Ora cioè che, come l’A. scrive nell’Aut., mi sono spiemontizzato: non