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282 | dagli «epigrammi» |
Che di tua mano amabile,
4 Le ricevea l’egregio1
Vate, a cui Giovenal sua sferza dié:
Ma non cosí piaceano
Altrui poi per se stesse,
Allor che inesorabile
Il comprator sovr’esse
10 Nude di un tanto fregio
Sfogando2 andava i suoi zecchini tre.
XII [lii].3
Chi fu, che fece e che mertò costui? |
XIII [liv].4
Sacro ebbi già di cittadino il nome,
Quando, or due lustri, ignoto al par che puro
- Queste che il fero Allobrogo
- Note piene d’affanni
- Incise col terribile
- Odiator de’ Tiranni
- Pugnale, onde Melpomene
- Lui fa gl’itali spirti unico armò:
- Come oh come a quest’animo
- Giungon soavi e belle
- Or che la stessa Grazia
- A me di sua man dielle
- Dal labbro sorridendomi
- E da le luci onde cotanto può!
- ↑ 3-4. Di tua mano, da riferirsi alla Marchesa Castiglioni. Al Parini l’A. aveva mandato nel 1783 le sue tragedie e ne era stato ricambiato col son. Tanta già di coturni, altero ingegno; nel luglio dello stesso anno, andando a Milano, aveva avuto occasione di frequentarlo, ma de’ suoi giudizi intorno alle tragedie testé pubblicate pare non rimanesse gran che sodisfatto (Aut., IV, 10°; in un ms. del Filippo notò però le correzioni propostegli dal Parini e le frasi che gli erano piaciute, come può vedersi in Milanesi, Op. cit., 379 e 393) né gli parve piú tardi che col Giorno avesse raggiunto la perfezione nel genere satirico, se nella stessa Aut. lo chiama «originalissimo e vero precursore della futura satira italiana».
- ↑ 11. Sfogando, vale sborsando.
- ↑ Questo epigramma fu composto l’11 maggio 1795. Il ms. 13 nota: Dietro un mio ritratto fatto fare da Lady Webser (Renier, op. cit., LXXXII).
- ↑ La data di questo epigramma è il 13 febbraio 1797.
fiero Allobrogo» ecc., mandatami dalla stessa Castiglioni. Nello stesso ms. trovasi inserita la copia dell’ode Pariniana con la seguente scritta: Alla Signora Marchesa D. Paola Castiglioni, nata Litta. Per le tragedie del Sig. Conte Alfieri da lei regalate allo autore. Ode. L’A. aggiunse di sua mano: dall’abate Parini, 1790». (Renier, op. cit., LXXX e seg.). Riferisco le due strofe del Parini, a cui arieggiano queste dell’A.: