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di vittorio alfieri 3


Bocca, ch’è d’ogni rosa or ora colta,
Piú odorosa, piú fresca, e piú vermiglia;
Voce, che amor, diletto, e maraviglia
Infonde e imprime in cor di chi l’ascolta;8
Riso, che al par gli uomini, e i Numi bea;1
Eburneo sen, vita leggiadra e snella;
Bianca morbida man, tornìte braccia;11
Breve piè, di cui segue Amor la traccia;2
E di spoglie sí belle alma piú bella:
Mostrato ha il Cielo in voi quant’ei potea.314



III [vii].4

Loda la fronte della Signora.

Greca fronte nomar deggio, o divina,
Quella, cui negro il crin serpeggia intorno,


    dell’anno dopo: il 6 maggio del 1786 l’A. inviava da Martinsbourg alla Marchesa Carlotta Amoretti d’Ozà il biglietto che qui riferisco, e che trovasi pure nel ms., al termine de’ sonetti medesimi: »Questi primi versi nei quali, già son ben tre anni [questo tre dev’essere un errore materiale, perché ne erano passati dieci] io pittore allora più rozzo che forse or nol sia, piuttosto accennava che dipingeva le gentili forme della di lei gentile persona, paionmi essere di ragion sua. Quindi, nel far rassegna dei miei cenci poetici, avendoli ritrovati, e non del tutto dispiaciutimi, ho creduto dovessero alle di lei mani, prima che a quelle di ogni altro pervenire. A ciò con tanto maggior coraggio mi arrischio, che mi lusingo che in essi vi scorgerà piú assai che un amante, un rispettoso e caldo ammiratore delle di lei bellezze e virtú, qual sempre sono stato, e sono tuttavia».

    È evidente in questo sonetto dell’A. l’imitazione petrarchesca, non diretta però, sibbene traverso ad un celebre sonetto di Pietro Bembo, che non sarà inutile di riferire:

    Crin d’oro crespo, e d’ambra tersa e pura
    Ch’a l’aura su la neve ondeggi e voli:
    Occhi soavi e piú chiari che ’l Sole
    Da far giorno seren la notte oscura;
    Riso, ch’acqueta ogni aspra pena e dura;
    Rubini e perle, ond’escono parole
    Sí dolci ch’altro ben l’alma non vuole;
    Man d’avorio che i cor costringe e fura;
    Cantar, che sembra d’armonia divina;
    Senno maturo a la piú verde etade;
    Leggiadria non veduta unqua fra noi;
    Giunta a somma beltà somma onestade
    Fur l’esca del mio foco; e sono in voi
    Grazie, ch’a pochi il ciel largo destina.

    4. Occhi, avendo visti i quali solo una volta, io ne morrò; è quella figura che dicesi di attrazione, per la quale una parola si accorda con quella che le sta piú vicina, anziché con l’altra da cui logicamente dipende.

  1. 9. Il Petrarca (Rime, CCLI):
    Le crespe chiome d’or puro e lucente
    E ’l lampeggiar de l’angelico riso
    Che solean fare in terra un paradiso.
  2. 11-12. Il Petrarca (Rime, XXXVII):
    Le man bianche sottili
    E le braccia gentili.
  3. 14. È in questo verso una reminiscenza del dantesco (Purg., VII, 15):
    «O gloria de’ Latin» disse «per cui
    Mostrò ciò che potea la lingua nostra».
  4. Appartiene questo componimento a quella medesima corona di sonetti, di cui il precedente è da considerarsi come il proemio.