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278 | dagli «epigrammi» |
S’ l’ è mi ch’ son d’ fer o j’ Italian d’ potìa
L’era pa un dubbi mai ch’ a dveissa andè,
(Com’ i’ sento purtrop, ch’ ven d’arrivè)
A ferì i Piemonteis pi ’n là ch’ l’ orìa.
L’ è un me dubbiet insomma, e as dev nen piè
Per voi, pi ch’ per l’Italia quanta a sia;
E peui, d’un povr’ autour a la babìa,
Com’ a la vostra, sfog bsogna ben dè.
Me sonetass, post ch’ a va comentà,
Parlava an general, e solament
A coi ch’ an pi ch’ ’l coeur, l’orìa dlicà.
Direu, s’ a veulo vnine a ’cmodament,
Ch’ nè lor d’ potìa, né d’ fer mi son mai stà:
mi d’ fer dous, lor d’ pauta consistent.
III [xi].1
Tutto rosso fuor che il viso, |
- ↑ Questo epigramma fu composto tra San Marcello e Firenze, il 31 luglio 1783. Nell’aprile di quest’anno il marito della Contessa ammalò gravemente a Firenze, e suo fratello, il Cardinale di York, partí a precipizio da Roma, per trovarlo vivo, conducendo seco un piccolo corteo di preti. La salute del Conte andò invece migliorando, e nella sua convalescenza quei preti, intesisi con gli altri che aveva dintorno a sé Carlo Stuart, tanto fecero che lo indussero a rivolger calda preghiera al fratello di allontanare da sé la fuggiasca Signora, che, in quel tempo, era sotto la sua protezione nel Palazzo della Cancelleria. Il Cardinale si lasciò persuadere e, tornato a Roma, intimò alla Cognata di troncare ogni rapporto con l’A., se voleva restare presso di lui, e della condotta sua inoltrò le lagnanze sino al Papa. Il quale o fece pregare o fece comandare all’A. di andarsene in altra città, e quegli dovette piegare la testa e partirsene; ma dopo poco, a sfogar la sua bile, lanciò contro i propri nemici il sonetto che segue, composto il 2 giugno 1783:
- Da bellezza a modestia rïunita,
- Che col semplice suo blando sorriso
- Amare a un tempo, e riverire invita?
- Chi in sí barbaro modo hammi diviso
- Dalla dolce fontana di mia vita?
- Da’ negri occhi che il mio cor conquiso
- Hanno, e la mente d’ogni error guarita?
- Livor, viltade, ipocrisia, l’ammanto
- Osan vestir di coscïenza pia;
- E dal lor congiurar nasce il mio pianto.
- Ma il dí verrà, turba malnata e ria,
- Ch’io pur tornato alla mia donna accanto
- Farò sentirti se poeta io sia.
II. Se io son di ferro o gli Italiani di fango non era un dubbio che dovesse andare a colpire i Piemontesi piu in là che l’orecchia, come io sento che, purtroppo, è accaduto. Era un mio dubbierello, insomma, e non lo dovevate prendere per voi piú che per l’Italia intera; e poi, bisogna pure concedere sfogo alla parlantina di un autore, come lo concedereste alla vostra. Il mio sonettaccio (giacché bisogna commentarlo) parlava in generale e solamente a quelli che piú che il cuore han delicata l’orecchia. Direi (se si deve venire ad un accomodamento) che né loro di fango, né io sono mai stato di ferro; o io di ferro dolce e loro di fango consistente.