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di vittorio alfieri | 231 |
Il Contadin, che d’ogni Stato è l’osso,1
Con la innocente industre man si adopra
15 In lavori che il volto non fan rosso.
Il Grande e il Ricco, la cui man null’opra,2
Spende il suo; quindi agli altri egli non nuoce,
18 Ed è men sozzo perch’ei già sta sopra.
Ma voi, cui l’esser poveri pur cuoce,3
E l’aratro sdegnate, o ch’ei vi sdegna,
21 Bandita avete in su l’altrui la croce.4
Onde voi primi alta ragion m’insegna
Ch’esser dobbiate infra le classi umane,
24 Qualor sen fa patibolar rassegna.5
Le cittadine infamie, e le villane6
Veggo in voi germoglianti in fido innesto,
27 E in un de’ Grandi le rie voglie insane.
De’ ceti tutti i vizj tutti; è questo
Il patrimonio eccelso di vostr’arte;
30 Ma non di alcun de’ ceti aver l’onesto.7
D’ogni città voi la piú prava parte,
Rei disertor delle paterne glebe;8
33 Vi appello io dunque in mie veraci carte
Non Medio-Ceto, no, ma Sesqui-plebe.
- ↑ 13. L’osso, il pernio, il cardine.
- ↑ 15-16. Spende il suo, e sta bene, ma è improduttivo, quindi nuoce, come un parassita, alla società che lavora per lui; e lo disse il Parini con tagliente ironia in quei versi del Mattino (459 segg.):
Mentre che il fido messaggier si attende,
Magnanimo Signor, tu non starai
Ozïoso però. Nel dolce campo
Pur in questo momento il buon cultore
Suda e incallisce al vòmere la mano,
Lieto che i suoi sudor ti fruttin poi
Dorati cocchi e peregrine mense;
Ora per te l’industre artier sta fiso
Allo scarpello, all’asce, al subbio, all’ago;
Ed ora a tuo favor contende o veglia
Il ministro di Temi. Ecco, te pure,
Te la toilette attende: ivi i pregi
De la natura accrescerai con l’arte
Ond’oggi uscendo, del beante aspetto
Beneficar potrai le genti, e grato
Ricompensar di sue fatiche il mondo. - ↑ 19. Cuoce, fa dispetto, irrita.
- ↑ 21. Bandir la croce vale quanto bandir la crociata. — In sn l’altrui, contro gli averi altrui.
- ↑ 24. Quando si fa la rassegna delle persone che starebbero bene sul patibolo.
- ↑ 25. Le villane, dei contadini.
- ↑ 30. L’onesto, l’onestà, la parte buona.
- ↑ 32. Scriveva Antonio Genovesi in una nota del Ragionamento intorno all’agric. (Milano, Silvestri, MDCCCXX): «.... Questa folla di gentiluomini che dalle campagne vanno a stabilirsi nella città o vengono a piantar casa nella capitale, crea il piú bel giuoco della natura, che è quello di vedervi molti de’ contadini salire alle ricchezze a rango di gentiluomini, e questi discendere al piano de’ plebei, per ripassar poi in questo rango nel contado e divenirvi di nuovo grandi, cacciando i contadini, fatti già signori nelle città, per ritornare anch’essi poi in contado! Bel fenomeno! Ma è il giro perpetuo delle cose umane».