Pagina:Alfieri - Rime scelte, Sansoni, 1912.djvu/201


di vittorio alfieri 173


Piú che diletto, maraviglia sempre
Destami in cor quest’arte perigliosa,1
11 In cui l’uomo insanisce in vaghe tempre.2
Pare, ed è quasi, sovrumana cosa;
Quindi è forza, che invidia l’alma stempre
14 D’ogni altra gente a laudar noi ritrosa.3


CLXXII.4

Chiede di essere considerato,

per il linguaggio, fiorentino.

Uom, che barbaro5 quasi, in su la sponda
Del non Etrusco Tanaro nascea,
Dove d’Itale voci è impura l’onda,6
4 Sí ch’ella macchia ogni piú tersa idea;
Piú lustri or son, ch’ei la natal sua immonda
Favella in piena oblivïon ponea;
E al vago dir che l’alma Flora7 inonda,
8 E labro e penna ed animo8 volgea.
Se niun di voi, cigni dell’Arno, or vede9
Spurio vestigio nel costui sermone,
11 Cittadinanza di parole ei chiede.10


  1. 10. Perigliosa, come quella di un funambulo, che può da un momento all’altro cadere.
  2. 11. Tempre, maniere.
  3. 13-14. Intendasi: è naturale che sentano invidia di quest’arte iridescente quei cervelli leggieri, incapaci di comprendere l’arte di chi scrive pensatamente e ponderatamente. — Noi, noi, veri poeti.
  4. Nel ms: «7 gennaio, tra San Gallo e il Prato».
  5. 1. Barbaro: cosí chiama sempre l’A. nell’Autobiografia il proprio nativo linguaggio e tutto quel che sapeva di francese; cosí a proposito dei cognomi della madre (Aut., 1, 1°): «Era questa di origine Savojarda, come i barbari di lei cognomi dimostrano».
  6. 3. Dove si parla un dialetto mezzo francese e mezzo italiano.
  7. 7. Flora, Firenze.
  8. 8. Labro, il comune discorso, penna, l’opera letteraria, animo, il cuore e la mente.
  9. 9-11... «in quasi tutto il decorso della mia vita, finora», scrive l’A. nell’Autobiografia, all’anno 1778, «mi è toccata in sorte questa barbaria di gallicheria; onde, se io pure sarò riuscito a scrivere correttamente, puramente e con sapore di toscanità (senza però ricercarla con affettazione e indiscrezione) ne dovrò riportar doppia lode, attesi gli ostacoli; e se riescito non ci sono, ne meriterò ampia scusa». — Spurio, impuro.
  10. 11. L’A. non fu ostile alle Accademie per principio e, se nel 1800 rifiutò sdegnosamente (Aut., IV, 10°) di far parte di quella scientifica di Torino (mentre diciassette anni prima era entrato in Arcadia col nome di Filacrio Eratrastico) ciò fu causato, piú che da altro, dal suo implacabile misogallismo. Perciò il mezzo piú semplice per spiegare questo v. sarebbe supporre che egli desiderasse di entrare nell’Accademia fiorentina. Ma come è ciò possibile, dopo quanto ne aveva scritto nel son. L’idioma gentil sonante e puro? E allora, sarà da supporsi che l’A. chiedesse semplicemente che le parole da lui foggiate per proprio uso o da lui rimesse in circolazione entrassero a far parte del vivo linguaggio toscano.